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 Week 6 | The Soul Ride - Cho Oyu 8202 m 

Oggi:   
2 Ottobre 2002

Posizione:   
Kathmandu



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Last News On Line |2 Ottobre 02 - Kathmandu
Ciao amici di freeridespirit.com

Oggi non é Emilio che vi scrive ma bensì lo Zaffa; infatti con un abile colpo di mano mi sono impossessato del mezzo di trasmissione.
Nella realtà è il "Capo Spedizione" che che mi ha concesso, nel breve tempo della sua doccia post-campo base (ossia due ore abbondanti...), di scrivere il breve riassunto di quello che sarebbe dovuto essere un tranquillo rientro a Kathmandu.
Partiamo dal campo base avanzato del Cho Oyu alle ore 7,30 Cinesi, ossia le 5,30 Nepalesi, ovvero le 01,30 Italiane, chi ci capisce con i fusi orari è bravo. Ci muoviamo comunque all'alba, Emilio a fare l'andatura io che seguo le sue orme passo a passo. Dietro noi arrancano il pilota canadese "Ian" detto "Gennaro" ed il nostro sherpa che per la sua noto pigrizia è ormai soprannominato "Lazzaro" da tutto il circondario.
Si parte come se si trattasse di una gara. Sarà colpa della la voglia di lavarsi o quella di rientrare nella "civilta", non lo so, ma credo che il motivo principale sia il dispiacere per non aver raggiunto la vetta.
A parte qualche storta dello "snowborder" e la sequela di bestemmioni a seguito dell'acqua troppo fredda durante i guadi da parte del sopra citato piedi dolci, (ma cosa volete farci questi atleti di punta sono delicati...)
arriviamo al Campo Cinese in cinque ore scarse.
Nel giro di una manciata di minuti ci catapultiamo in auto. Si unisce a noi Jesus Maria, un alpinista basco che ci attende da giorni e che rinuncia alla cima perché malaticcio. Usufruirà quindi di un passaggio sulla nostra Toyota. Tra lui, noi quattro, l'autista, la guida tibetana che ci accompagnerà, o meglio che ci scorterà come fossimo prigionieri, si sta un pò scomodi sul mezzo da trasporto. Comunque l'essenziale è essere in movimento.
Il dubbio che il pilota non sia il clone tibetano di "Rubens Barrichello", ci viene subito, nel breve tratto che ci separa da Tingri e dalla prima sosta per il pranzo; il motore "chiama" la quinta marcia o viceversa implora la terza, ma il pilota inflessibile non sfiora nemmeno la leva del cambio. I freni? Optional inutili e avanti così.
E noi a dirci: "beh pazienza, Rubens non è un fulmine di Dio, ma l'altipiano ha spazi di fuga ampi, la strada sterrata concede la possibilità per correzioni repentine". Forse.
Pochi minuti dopo esserci rimessi in cammino, veniamo immediatamente contraddetti. Durante l'attraversamento di un villaggio a velocità supersonica, per evitare un motocarro dell'ANAS della Grande Repubblica Popolare Cinese, centriamo in pieno quello di una famiglia Tibetana. La buona sorte vuole che gli ex sudditi del Dalai Lama siano piu' agili e veloci a scendere dal loro mezzo che non l'auto nipponica a centrarli. A questo punto si accende una animatissima discussione, "Rubens" e la nostra Guida-Accompagnatore da una parte; finalmente si sbottonano un pò i giubbotti dal collo rialzato, si tolgono il berretto da baseball sino a quel momento
calato sugli occhi, e spariscono cosi gli occhiali alla Blues Brothers. Dall'altra parte si schierano, oltre alla famiglia Tibetana al completo di bambini, amici e supporter, il guidatore del mezzo ANAS nonché principale colpevole dell'incidente secondo la versione del duo sopraccitato. Tra la casacca arancio, il cappello di lana multicolore, i basettoni, gli occhiali alla grande fratello, l'autista del mezzo Anas viene soprannominato immediatamente Bob Marley. Ah... dimenticavo le tre colleghe di Bob, che con casacca, cappello, guanti, maschera per proteggere la bocca dalla polvere, sembrano proprio la banda Bassotti. Io e il mio socio visto che nessuno si è fatto male, ci rilassiamo sedendoci contro il muro della costruzione vicina (guarda il caso, un ambulatorio-ospedale...)
e ci godiamo la scena tragicomica della discussione. Dopo due ore di pantomima il tutto si riduce ad una contrattazione sulla cifra da sborsare da parte dei due Blues Broters quale risarcimento danni alla famigliola, che una volta rimesso in carreggiata il motocarro ripartono con tutte le loro carabattole stipate nel veicolo e le loro trecce svolazzanti al vento dell'altipiano.
Così ci rimettavamo in moto anche noi, raggiungendo dopo una irrilevante foratura, Nyalam.
Questo ameno villaggio è il tipico esempio di cecità del pragmatismo della grande Repubblica, insediamento senza elettricità e men che meno fognature, ma con alcuni palazzi tutto marmo e vetri azzurrati ad uso dell'apparato. Comunque non siamo qui a far politica che non è il nostro mestiere. Piaccia o no stanotte si dorme qui, finalmente senza svegliarsi di soprassalto perchè manca il respiro, come accadeva ormai da più di venti notti al campo base avanzato.
Svegliati di buon ora e pronti a riprendere il nostro viaggio, veniamo nostro malgrado coinvolti in una puntata speciale di "chi l'ha visto?". "Lazzaro" lo sherpa è scomparso, non ha dormito nella sua stanza, alla nostra locanda, se ne sono perse tutte le tracce. Dopo un ora di spasmodica ricerca collettiva è Ian che lo ritrova, in catalessi sui divani della pseudo discoteca del luogo, in compagnia di non si può dire chi. In tempi ragionevoli e senza più intoppi raggiungiamo il confine e qui incredibilmente superiamo brillantemente ed in tempi record tutte le pastoie burocratiche, senza sfuggire però ai dazi ed ai balzelli imposti dalle anacronistiche leggi doganali.
In questi casi, non c'è alcuna differenza tra 1°,2°,3° mondo, occidente ed oriente, nord e sud: scartoffie e furti legalizzati sono uguali in ogni dove.
Comunque è fatta, cambiamo auto ed autista, salutiamo i Blues Brothers e dopo aver pranzato con un gruppo di Indiani a dir poco abbigliati in maniera originale, (erano in pigiama e camice da notte, ma tutti indossavano cappelli e guanti di lana) ripartiamo per l'ultimo centinaio di chilometri che ci separano dalla nostra meta. Quattro o cinque ore di frullatore visto che personalmente viaggio nel vano bagagliaio con gli zaini e la strada è sterrata e piena di buche. Comunque tra un po' sarà tutto finito. Ma come dice il Trap: "Non dire gatto finché non l'hai nel sacco".
In effetti come volevasi dimostrare, dopo aver viaggiato per nemmeno un ora, la strada è bloccata da tre ruspe che cercano di ricreare una parvenza di strada dopo la caduta dell'ennesima frana. Passate tre ore di paziente attesa sovrintendendo ai lavori, sembra che la pista sia nuovamente sgombra e praticabile. Ma ecco la nostra ormai cronica "sfiga" che ci accompagna... Il pullman che ci precede resta impantantanato, bloccato nel fango e a questo punto iniziano le scene di panico apocalittiche. Un camion di soccorso in bilico sul precipizio con una ruota giù nella scarpata; Passeggeri esasperati e autisti in preda a crisi isteriche, Jesus Maria compreso. Il tutto è risolto dal provvidenziale intervento di una delle ruspe come mezzo di soccorso ACI.
Rieccoci On the rood: "ehi! Keruak, io volevo fare l'alpinista questa volta, non volevo passare il mio tempo sulla strada, nonostante affascinante e avventurosa possa essere la cosa".
Finalmente al calar della sera si cominciano ad intravedere le case, si viene assorbiti dal traffico caotico, si sentono i tipici rumori e le inconfondibili puzze della città. Siamo ritornati alla civiltà, siamo a Kathmandu.
E poi hanno il coraggio di chiederci il perché si va rischiare la pelle in montagna.

Ciao
Zaffa

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